DOMANDE E RISPOSTE SU IL PONTE DEL DIAVOLO

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IL PONTE DEL DIAVOLO

CONVERSAZIONI SUL LIBRO

1.Perché il libro è intitolato, Il ponte del diavolo, sappiamo che in tutta Europa e in quasi tutte le regioni d’Italia esistono molti ponti antichi, di epoca medievale e romana chiamati così?

Il termine diavolo è ambiguo ed evoca molte idee spesso contrastanti. Questa complessa figura mitica, ricca di simboli suggestivi e inquietanti è viva e radicata nell’immaginario collettivo italiano. Il XV arcano dei tarocchi si riferisce alle forze corporee, materiali istintive dell’uomo, all’energia densa e terrestre, alla materia prima degli alchimisti, all’oro racchiuso nella ganga dei minerali imperfetti che deve essere liberato dall’adepto. Occorre attingere a questa energia cosmica primordiale senza lasciarsi travolgere, e saperla incanalare dovutamente per potersi trasformare interiormente trascendendo i limiti del proprio Io contingente. E’ il principio di ogni vera iniziazione e della transmutazione alchemica.

L’iconologia popolare demoniaca si rifà al mito greco di Pan: l’uno in tutto, la personificazione della natura, la divinità tenebrosa, metà umana e metà animalesca, celata nei boschi impenetrabili. Se incautamente la si incontra, si è sopraffatti dal terrore, dal panico, appunto.

Il riferimento diabolico del titolo mi è stato suggerito dall’aura sinistra di Torino, città della magia nera per eccellenza, in base a tradizioni più o meno fantasiose e superstiziose ma saldamente radicate nell’immaginario collettivo dei torinesi. Forse ha origine in una serie di coincidenze collegate casualmente o a certi luoghi ombrosi particolari e sinistri avvolti dal mistero. Come esempi è sufficiente citare l’antico cimitero degli impiccati di San Pietro in Vincoli, più volte profanato; l’incendio “infernale” del cinema Statuto del 1983, divampato mentre proiettavano il film commedia francese, La capra, (chèvre in francese significa anche sfortuna, iella), o le vecchie sedi delle logge massoniche ottocentesche spesso viste come conventicole sataniche da parte delle vecchie istituzioni conservatrici cittadine; oppure basta considerare i numerosissimi reperti del Museo Egizio, carichi di forze magnetiche, o alcune figure carismatiche e tenebrose che hanno soggiornato a Torino come Nietzsche, Lombroso e numerosi personaggi misteriosi che invece si sono fermati in città solo di passaggio come Casanova e il conte di Cagliostro. Tutto ciò determina in modo naturale e quasi spontaneo l’associazione Torino-diavolo.

La città fluviale situata tra le Alpi e le colline, fu costruita dalla tribù celtica dei Taurisci o Taurini, adoratori della costellazione del toro celeste, ampiamente venerata nell’antichità. Ricordiamo il Minotauro cretese e la dea Athor egizia o le vacche sacre dell’India vedica. Le lunghe corna arcuate e candide del toro raffigurano infatti simbolicamente il crescente lunare.

Il ponte del diavolo di Lanzo, sito a circa 30 km dalla città, grazie al suo nome leggendario non fa che consolidare questa atmosfera da tregenda.

Si tratta di un comune ponte medievale di pietra a dorso d’asino, dal parapetto basso, costruito nel 1378 di fronte al paese, su uno strapiombo roccioso sopra il torrente Stura, che in quel punto scorre rapido incuneato nella gola.

Secondo la leggenda i lanzesi provarono più volte ad erigere il ponte, ma ogni notte puntualmente crollava, infine ricorsero all’intervento del diavolo, il quale con l’ausilio delle legioni infernali lo completò in una sola notte. In cambio delle sue fatiche pretese l’anima della prima creatura che l’avesse attraversato. Come sovente accade il povero diavolo fu ingannato dagli astuti paesani che vi fecero camminare un cane (animale legato alla terra, agli inferi e all’aldilà, come l’Anubi egizio, le cagne feroci al seguito di Ecate, ecc).

In qualche modo avvertivo un forte legame magnetico tra il ponte e Torino. In realtà il ponte del diavolo descritto nel libro connette il fantomatico villaggio montano di L. al mondo fantastico e spettrale popolato da sciamani, streghe, delle fate celtiche, e dominato dal truce maniero dei conti Giraudo, i nobili signorotti della vallata: ultimi eredi dissoluti e degenerati sopravvissuti ad un mondo feudale scomparso, bizzoso, eccentrico e crudele.

Il ponte rappresenta la fine del mondo civilizzato, confinato negli angusti limiti del buon senso, della razionalità, ai quali l’inquieto protagonista Rodolfo, deluso dalla vita desidera a tutti i costi superare.

Durante una gita a Viù sono rimasto colpito da una lunga lastra di pietra posta in un angolo della piazza che si affaccia all’inizio del paese. Erano scolpite molto rozzamente a bassorilievo tre figure femminili materne, semplici e stilizzate. Si chiama la Roccia delle Madri. Un tempo il masso era celato nella macina di un mulino, usato un tempo per estrarre l’olio dalle noci. Fu ritrovato in un anfratto boschivo nei dintorni, nella località chiamata, Mulini Ninin. Di fattura celtica, risalgono al III o II secolo a. C. e raffigurano le tre signore del fato, (da cui il termine fata), che presiedono al destino umano, analoghe alle Parche romane e alle Moire greche. Simboleggiano il principio lunare che regola le mutazioni cicliche, vista nelle sue tre fasi principali.

2. Questo romanzo ha un sottofondo esoterico, racchiude un percorso iniziatico espresso in forma simbolica?

Sicuramente. Nel romanzo si incrociano e si avvolgono a spirale due forme diverse di esoterismo che potrebbero essere paragonate alle due vie degli alchimisti: la via solare, secca, maschile e quella umida, femminile, delle acque corrosive. Figura un esoterismo colto, raffinato e edulcorato dai dotti, studiato e praticato da Edoardo Salviati, esteta e moderno investigatore dell’occulto e dai suoi accoliti: è un esoterismo di stampo letterario, intriso di romanticismo nero; ma vi è anche un substrato occulto più antico, più potente e più profondo, il ceppo folkloristico popolare dei montanari, le cui radici affondano nelle immemorabili tradizioni celtiche pagane, nella magia sprigionata dai luoghi naturali pregni di aure magiche dove agiscono le forze immense e primordiali che venivano personificate dagli “dei”, parola che significa etimologicamente luci. Gli adepti tentano di risvegliare tali forze, cercando di rivivificare gli antichi luoghi di culto tramite riti segreti millenari immutabili, appresi per vie arcane.

La conventicola privata dei conti Giraraudo e di Edoardo Salviati si sforza di riagganciarsi a quell’arcaica tradizione collettiva. In realtà costituisce un cenacolo variegato, caratterizzato da artisti bohémien e da persone ricche e sfaccendate, da fervidi studiosi di scienze occulte, dediti a festini smodati, sempre in cerca di nuove ebrezze e di sensazioni sconvolgenti, di stati alterati di coscienza. Il castello di L. è il cupo ritrovo di torbidi ricercatori di tripudi bacchichi forsennati e di estasi sciamaniche. Per noia, per divertimento e per passione questa società iniziatica torinese, con ramificazioni estese in tutto il mondo occidentale, si dedica a rievocare oscure potenze spirituali. Il suo fulcro, per ragioni strategiche di segretezza, è posto nello sperduto maniero semidiroccato del conte Giraudo. Gli adepti sono scelti tra gli uomini più ricchi e potenti del mondo, e controllano gli equilibri geopolitici ed economici mondiali da dietro le quinte. Sono mossi da un’insaziabile ambizione, da un faustiano desiderio di conoscenza e di potere e dalla ricerca sfrenata di piaceri sempre più estenuanti, e si dilettano imprudentemente a riesumare cerimonie pagane scomparse, a rievocare con esaltato compiacimento i fasti perversi di Gilles de Rais e della contessa Bathory.

3. Perchè ha scelto un pianista come protagonista?

Rodolfo Chiaromonti è un pianista compositore solitario e tormentato, dotato di un’inspiegabile ipersensibilità acustica che lo invoglia ad isolarsi dal mondo, a condurre una vita ascetica da eremita. I piaceri, la compagnia, la fama, il successo pubblico dei concerti, le logoranti tournée pianistiche con il tumulto sconvolgente che producono lo snervano. Straniato, emarginato, ma guidato da un oscuro implso di sopravvivenza, si interessa all’ignoto, esplora da dilettante l’universo sconosciuto e temibile della magia. Quella che diventa prima un’abitudine, poi una necessità impellente lo sospinge verso la solitudine misantropica assoluta, poi inizia a frequentare un cenacolo esoterico, dove viene introdotto da un malvagio mentore, il mefistofelico ex compagno di studi Edoardo Salviati, dominato da una smania sovrumana di conoscenza. Uno degli adepti della congrega, il vizioso commendatore veneziano Giustiziani gli finanzia una serie di concerti spettacolari in giro per l’Italia assicurandogli la notorietà, ma legandolo per sempre alla setta. Gli si schiudono via via inattesi orizzonti di gloria, di conoscenza e potere.

Il musicista tuttavia, persino nel cuore della notte, immerso nel silenzio più ovattato, è scosso da una tempesta di suoni assurdi e inquietanti, che soltanto lui percepisce. Sopraggiungono improvvisamente nel buio, da una fonte invisibile e misteriosa, simili ad un richiamo notturno spaventoso dall’aldilà, dal regno evanescente degli spiriti e delle ombre. Non gli rimane che un unico mezzo per liberarsi da quei suoni insinuanti e ossessivi: riprodurli, trasferirli sul pianoforte, per estrometterli e liberarsene esorcizzandoli. Quando estenuato e con i nervi a pezzi va a passeggiare da solo in montagna durante le vacanze estive, per distendersi, e al tramonto, nella calura, si sofferma in un luogo ombroso e appartato in riva a un fresco ruscello alpino, la musica armoniosa della natura, il tenue sussurrio del bosco gli schiudono le porte di un’altra dimensione della vita, più vivida e intensa, dove operano gli dei, gli spiriti elementari della montagna, le forze cosmiche invisibili creatrici e regolatrici, e per la magia diffusa da quelle note, le forme tenebrose si rivestono di luce. In uno slancio mistico riconosce il linguaggio sovrumano primordiale che lo rapisce nell’estasi.

Il ponte del diavolo è un romanzo soggettivo, interiore, incorniciato da pochi fatti esteriori, è l’inizio di un arduo cammino spirituale in cui l’inferno individuale del protagonista, inteso come personalità magmatica e ancora dominata dagli impulsi animali e dalle passioni egoistiche, si proietta verso l’esterno materializzandosi per incanto. Visioni fluttuanti piacevoli e terrificanti, scaturite dal suo Io più profondo, si fissano e prendono forma, assumendo una vita propria.

Rodolfo sconvolto da questa scoperta che lo allontana sempre più dai suoi simili, vive in uno stato allucinatorio continuo. La sua immaginazione esorbitante e stravolta crea e proiette gli spettri impalpabili di un aldilà indefinito che avvolge il paese di L. Allora la natura primitiva della valle desolata si sovrappone alla realtà ordinaria. Il mondo antico che si consolida è popolato da streghe sanguinarie, aristocratici folli e emaciati, da rudi montanari cupi e taciturni gravati dalla fatica. La cieca superstizione svela i fatti reali segreti su cui poggia. Confuso da un gioco di ombre nebulose il pianista maledetto comprende la funzione liberatrice e magica della musica; ode atterrito la sottile armonia delle sfere celesti, il primo suono cosmico che cresce e si dilata nello spazio vuoto, la musica dionisiaca che scuote e fa sussultare la terra.

Artista lunare e melanconico, soggetto a bruschi sbalzi di umore, poeta visionario ispirato dalla notte, esplora in uno stato onirico e sonnambolico il regno tenebroso situato oltre la soglia della ragione.

4. Perché la scelta di uno stile ridondante, a volte eccessivo?

Ho impiegato volutamente uno stile barocco, denso di ombre suggestive e percorso da rade luci ingannevoli. Il ponte del diavolo vuole essere un romanzo descrittivo, di atmosfera.

Una dimensione spazio-temporale alterata compone il mondo magico illusorio creato dal demiurgo Edoardo Salviati, tramite la sua volontà smisurata.

Il tranquillo paesino isolato e sperduto nella pace dei monti, l’osteria rustica, la cupa chiesa, l’emporio all’antica, l’allegra casetta dei genitori di Eva, il lussuoso chalet di Salviati, l’antica frazione abbandonata sotto la fortezza tenebrosa del conte, l’eccentrico appartamento torinese dell’amico Claudio, delineano l’orizzonte limitato e claustrofobico entro il quale Rodolfo si dimena ciecamente, in cerca di una verità elusiva, intrappolato dai rigidi schemi mentali dei paesani e della conventicola esoterica, bloccato dalla barriera magica invisibile tracciata da Edoardo.

5. Ci sono altre fonti storiche o leggendarie, oltre al Ponte del diavolo di Lanzo che hanno ispirato la vicenda?

Senz’altro: Torino e la sua provincia sono ricchi di luoghi arcani e affascinanti. Le tre valli di Lanzo, come molte altre in Piemonte, sono state teatro di casi clamorosi di stregoneria nei secoli passati. In Val Grande, nella frazione di Vonzo, sopra il paese di Chilamberto si trova un’enorme roccia dalla curiosa forma squadrata. Secondo diverse tradizioni locali in quel punto si raduravano segretamente le streghe, dette anche masche, (termine di origine provenzale, masque o maschera) o strie in piemontese, dal latino strix, rapace notturno, per banchettare lautamente e celebrare la festa danzante della primavera: un rito primitivo di fertilità. Secondo altre versioni raggiungevano in volo il macigno, ogni venerdì alla luce incerta del crepuscolo e la notte di Ognissanti per festeggiare il Sabba.

Una leggenda sorta dopo il 1378, afferma che le streghe della Val Grande trasportarono la roccia fino a Lanzo, collocandolo in mezzo al ponte, bloccando così il transito ai viandanti, per stupire la piccola e superstiziosa comunità montana con il loro potere strabiliante. Il diavolo si infuriò per questa insubordinazione e ordinò loro di ricollocarlo al suo posto.

Dicerie analoghe si diffusero sulle streghe di Levone, nel Canavese, che si riunivano la notte del Sabba su un pianoro montano, noto come Pian delle Masche, vicino al paesino Forno di Rivara.

Nel 1472 e nel 1474 in quella zona si intentarono due cruenti processi per stregoneria, fomentati dai montanari superstiziosi e bigotti, prostrati dalla miseria e dalla fame, al termine del quale vennero arse vive sul rogo tre povere contadine innocenti, accusate di aver scagliato un maleficio su bambini, adulti e bestiame.

Le presunte streghe, prima di essere giustiziate, furono rinchiuse nelle segrete sotterranee del castello medievale di Rivara, abitato dai conti di Valperga, i feudatari del luogo. Questo tetro episodio mi ha suggerito l’ambientazione nel tetro maniero degli efferati Giraudo.

Le streghe erano le depositarie dell’antica sapienza tradizionale, esperte di erbe medicinali. Officiavano oscuri rituali segreti di fertilità nelle radure sacre, protette da un cerchio di alberi e vicino alle fonti e ai corsi d’acqua. Vivevano segregate, ma spesso venivano convocate dal popolo per guarire i malati e per togliere il malocchio a qualche malcapitato. Allo stesso tempo erano temute per i loro poteri magici e per le pratiche segrete che perseguivano all’ombra dei boschi. Quell’oscuro sapere veniva trasmesso in linea matrilineare di madre in figlia. Alcune labili tracce sono sopravvissute fino ai giorni nostri, camuffato nei proverbi popolari e nelle favole per bambini dei contadini e pastori. I poteri temibili delle masche venivano tramandati solo in punto di morte.

6 Perché ha scelto di ambientare il romanzo nel presente, e non nel periodo della più accanita caccia alle streghe, dal Quattrocento al Seicento?

Anche se la persecuzione giuridica dei reati di stregoneria da parte delle autorità civili e religiose è cessata già dal XVIII secolo, ancora adesso alcune persone dedite alle scienze occulte o certe anziane donne, esperte raccoglitrici di erbe selvatiche velenose e curative, sono viste con sospetto nei paesini di montagna. In casi rari può anche capitare che costoro si vantino delle loro conoscenze e pratiche magiche sia per proteggersi che per farsi riverire.

L’atmosfera del libro è irreale, sospesa tra il sogno e la veglia, è lo spazio fatato percorso dalle masche e dagli sciamani celtici. Anche il tempo è alterato, la realtà quotidiana risulta stravolta, il presente è eroso dalle forze ancora attive di un passato oscuro che lotta con forza per riemergere in superficie e per affermarsi, cancellando a poco a poco le tracce superficiali e inconsistenti della civiltà moderna. Personaggi curiosi e bizzarri scaturiscono, come durante un’evocazione magica da un medioevo fantastico, ad esempio lo stravagante Edmondo, fratello del conte Maurizio Giraudo, erudito solitario travolto dalla follia, la mostruosa megera Lena, o la bellissima e conturbante Matilde, mitica signora dei boschi.

7. Come è nato il suo interesse per l’esoterismo e per il genere gotico?

Credo sia dovuto all’aura misteriosa sprigionata dalla città di Torino e dai suoi dintorni. Un’atmosfera magnetica che invita i suoi abitanti a ritornare. Un fascino oscuro legato a scorci naturali, alle ombre di antichi palazzi, a certe viuzze solitarie, ecc.

E’ stata la lettura dei magnifici racconti di Edgar Allan Poe, su cui ho scritto la tesi, a suscitare il mio primo interesse per l’occultismo; un interesse diventato sempre più grande. E’ una fortuna vivere in una città così adatta a seguire queste strane ricerche.

8. Sembra che la vera protagonista del libro sia la strega vista sotto tutte le sue diverse sfaccettature?

Indubbiamente, la stregoneria costituisce un antichissimo e articolato retaggio di pratiche rituali, ancora adesso poco conosciute. La natura effettiva del loro culto sfugge alla comprensione degli studiosi. Soltanto a partire dal Medioevo le attività stregonesche (riunione sabbatica, metamorfosi in animale o in elemento naturale come fumo o nebbia, estasi, sdoppiamento, volo sciamanico, capacità di fascinazione tramite lo sguardo, i gesti, o l’impiego di formule magiche, potere invisibile di nuocere o di guarire), sono state associate all’adorazione del diavolo.

Il sostrato magico celtico è tuttora presente in tutte le comunità alpine piemontesi e per secoli ha regolato la vita degli abitanti delle vallate.

Secondo antiche testimonianze letterarie, ( che restano da accertare), le druide, le sacerdotesse celtiche, (druida è un termine presumibilmente derivato da quercia), simili alle driadi greche, (ninfe che scaturivano dal tronco di questi alberi sacri, ispiratrici di oracoli, come nel caso del bosco sacro di Dodona dedicato originariamente alla Grande madre), erano delle creature selvagge che vivevano nelle foreste come le fiere e si aggiravano scarmigliate e minacciose sul limitare dei villaggi, con i denti appositamente affilati, divorando animali vivi. Un’immagine raccapricciante che si accosta alle Baccanti descritte da Euripide.

La strega Matilde, è un’incarnazione vivente della dea primordiale: tellurica e lunare allo stesso tempo, la quale si era già incarnata nell’amante dell’antenato alchimista del conte Maurizio.

La Grande Madre viene evocata con solennità dalla collettività montana durante la festa pagana del solstizio d’estate, celebrata da tutti gli abitanti di L.

In quell’occasione, sotto i raggi freddi della luna estiva, al termine di un banchetto grandioso a base di bestiame scelto sacrificato, nell’ebrezza diffusa, tra cori gioiosi di montanari e danze festanti, appare gloriosa in una spettrale epifania notturna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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